U come unione
Gli ultimi due anni, pesanti come macigni sulle spalle di noi tutti, e questo a prescindere dallo status vaccinale, sembrano avere messo a nudo la nostra fragile identità di popolo, rendendo evidente quanto facile sia dividere e spaccare, e dunque indebolire, la dimensione collettiva.
Non solo siamo rimasti isolati per un lunghissimo periodo, ma siamo stati anche abilmente manipolati, aizzati gli uni contro gli altri. Di questo deleterio fenomeno si sono soprattutto resi responsabili la maggior parte dei giornalisti, l'informazione radiotelevisiva in questo biennio pandemico avendo dato il peggiore spettacolo di sé di tutta la storia dell'Italia repubblicana. Amen.
Tuttavia, quello che io invece ho toccato con mano, inaspettatamente, è stata una grande vivacità civica, apartitica, apolitica, trasversale e transgenerazionale, e, a dispetto della narrazione distorta che se ne è voluta dare, pacifica, niente affatto violenta (provocatori e utili idioti si infiltrano sempre in movimenti di popolo di tali dimensioni) e, nonostante tutto, ottimista, almeno - molto gramscianamente - della volontà.
Forse, a volte ho pensato, siamo in molte e in molti ad avvertire l'impellente bisogno di aggregarci intorno a una lingua e un agire comune, che siano in grado di contrastare l'ormai palese crescente autoritarismo dello Stato e lo strapotere economico-finanziario, che ambiscano a metterci in marcia e in cerca di idee nuove, che ci spingano ad avere cura della libertà e della memoria, che abbiano a cuore la cultura e l'arte, nutrimento dell'anima, la natura e il senso più autentico e degno del nostro essere, qui e ora. Una lingua e un agire comune che siano in grado di difendere con maggiore forza la nostra bistrattata Costituzione.
Perché sì, lo sappiamo bene che lo Stato forte con i deboli e debole con i forti, che si è nitidamente profilato con l'insediamento dell'attuale governo, è un sintomo di grave malessere per una democrazia, e già solo questo dovrebbe suscitare assai più preoccupazione e renderci più vigili, meno smemorati.
Invece è la distrazione a dilagare, come nebbia fitta fitta; gli argini dell'emergenza sono (momentaneamente) saltati e ora pare che tutto, in vista della promettente stagione estiva, con i suoi logori infradito... flippete flappete... il solito lungo mare, i gelati da leccare, le creme solari da spalmare, che tutto parli di nuovo di normalità, gli ombrelloni già pronti ad aprirsi sul chiacchiericcio opinionistico di sempre.
La gente la pretende, la normalità, la vita "com'era prima", e questo è anche, in parte, più che comprensibile, ma nell'atto stesso di pretendere si annida l'errata convinzione di un diritto: la normalità come condizione dovuta.
In questo clima diffuso di rivendicazione di vecchie consuetudini e antichi privilegi, si disattivano le antenne, non ci si sintonizza più sul buon senso, sulla capacità di previsione, si congelano i ricordi. Basta, non se ne vuol più sentir parlare di: obblighi e divieti, mascherine, booster e green pass, lockdown e gel igienizzanti.
L'autunno e l'inverno, adesso, appaiono talmente lontani che non vale nemmeno la pena di starci a pensare, suvvia! Eppure quello che ci potrebbero riservare, se solo ci si riflette qualche istante, sarebbe in grado di far scorrere qualche brividino lungo la schiena.
In ogni caso, anch'io adesso tento di vivere alla giornata e preferisco non spingere troppo in là i miei pensieri, ma tuttavia non dimentico, quanto accaduto fino ad oggi, non potrò mai dimenticarlo, e di certo tengo desta la coscienza, coltivando la convinzione che qualsiasi scenario si possa profilare nel futuro prossimo è dalla nostra capacità di rimanere uniti, solidi e solidali, e di non cedere alla tentazione di calarci nuovamente nelle anguste trincee di opposte fazioni, che potrebbe dipendere la sostenibilità del nostro domani.


