N come nascere

Io nacqui ogni mattina, scriveva D'Annunzio. Come diamine faceva? Quale il suo segreto? A quali eventuali stratagemmi ricorreva il Vate, per poter così facilmente rinascere a ogni nuovo sorgere del sole?

Sono anni che tento di nascere ancora, le persone che mi sono state accanto lo sanno: l'impegno quasi quotidiano dedicato a risollevarmi, quante volte da terra ho puntato mani e piedi e mi sono rialzata per poi... SBANG! altra mazzata, di nuovo a gambe all'aria.

Perché il punto è molto semplice. L'epoca nostra è scandita dalle performance a ogni costo ed è crudele, non prevede la rinascita mancata o ritardata, il cadere e il ricadere, non si accettano i tempi lunghi, le persone che impiegano anni a riprendere in mano la propria vita non sono viste di buon occhio, sono noiose e tristanzuole, dovrebbero affidarsi agli inibitori della ricaptazione della serotonina e piantarla lì una buona volta di rompere i cabasisi.

Bisogna rimettersi in piedi, e anche in fretta, e proclamare a gran voce che - wow - va tutto bene, va che è una meraviglia, sono rinata, sono un'altra donna, postare selfie, con o senza filtri, abbronzarsi uscire fare cose vedere gente e sì: sposare il nuovismo imperante, improntare ad esso la propria esistenza anche se di donna ormai attempata. 

Ci ho provato, eccome se ho tentato di rinascere, mi sono affidata per molti anni a un analista (lacaniano), ho provato psicoterapia e psicofarmaci. Finché ho messo a fuoco, tra il 2020 e il 2021, che l'errore madornale era proprio consentire che i miei malesseri - oggettivamente comprensibili e più che legittimati dalle varie circostanze vissute prima sul piano individuale poi collettivo, negli anni ultimi di pandemia - finissero per diventare un business per altri, alimentando con il passar del tempo spiacevoli sensazioni di dipendenza. 

Ho capito allora che era giunto il momento di accettare l'eventualità di non rinascere, che non è affatto detto che si debba sempre rinascere, che a volte l'età e la vita che si conduce non aiutano, e che insomma: noi non abbiamo diritto alla rinascita né tanto meno alla felicità, la felicità possiamo inseguirla, cercarla, sognarla, ma occorre imparare ad accogliere l'idea che non si affacci più nella nostra vita per lungo tempo. 

Ecco la necessità di coltivare dentro noi stessi le risorse per elaborare crisi di sofferenza, gli snodi difficili, le salite scoscese ed esposte. Di ripartire dalle cose semplici, che non creano dipendenza né assuefazione e non hanno effetti collaterali: camminare, praticare yoga, meditare, incontrare le persone amiche, in grado di condividere dolori e gioie, imparare ad abbracciare e a stare nell'abbraccio che, se prolungato, ci aiuta a produrre ossitocina, un ormone buono. 

Lo ammetto: io no, non rinasco dannunzianamente ogni mattina, ma sono comunque diventata un'altra donna, su questo non c'è dubbio, talmente cambiata che quando capito davanti a uno specchio a stento mi riconosco. Questa è la vita, ognuno di noi ha sulle spalle il proprio personale carico, unico irripetibile. La sola cosa che conta credo sia questa: mai censurare il proprio soffrire, le difficoltà, la solitudine, le privazioni, non vergognarsi di chi e di come siamo.

Le rughe sono le rotte che la vita ha tracciato sul mio volto, raccontano di me e di me soltanto, del privilegio dell'esistenza, d'essere ancora accolta nel tempo presente che abbraccia tutti noi, in questa ennesima non buona Pasqua. 






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