F come filo
Quale filo, ditemi per favore, quale filo useremo per ricucire tutti gli strappi, per suturare le ferite? Le lacerazioni che ci hanno divisi e allontanati, in questi anni dolorosi, che hanno scosso, fino a spaccarle, le pareti di tante case, che hanno invelenito inutilmente le parole, soffocando i cari dialoghi perduti, che ormai stanno alle spalle, le frasi come cocci.
Capiremo che forse la nostra salvezza, di ognuno di noi e di tutti, di donne e uomini, e di popolo, potrebbe dipendere dalla tenuta di quel filo, di quello soltanto, l'unico in grado di riavvicinare le persone alle persone e la gente alla politica? Lo capiremo, noi, questo?
Quale pensiero nuovo, quale ideologia, quale partito saprà nascere che ancora noi, oggi, non possiamo nemmeno immaginare, ma che dovrà pure arrivare e sfornare nuove parole calde e fragranti come pagnotte, perché noi abbiamo fame, una fame disperata dopo tanta carestia.
Noi quanto potremo resistere con il capo chino, il passo rassegnato di chi si reca al seggio con il cuore zitto, quanto ancora potremo resistere a votare per dovere, smemorati del tempo in cui se ne traeva un fiero piacere?
Il sistema che domina incontrastato su tutto, tutto fagocita, e devasta, ma lo fa senza sottotitoli, senza clamore senza boati né lampi, lo fa all'insaputa dei più. Noi ci accorgiamo di tanto in tanto delle macerie, vi ci aggiriamo, orfanelli tristi e impoveriti, nostalgici del caro vecchio Novecento, ce ne sentiamo monchi.
Eppure da noi, da noi soltanto, dunque dal basso del nostro esilio, non certo dai piani alti, possono germogliare le nuove pratiche di comunità, quell’idea di futuro migliore che un'incalcolabile moltitudine di preghiere sorelle invocano nei dialetti muti delle nostre sere.
Noi, ricuciti, ripartiremo.

