Note dal margine




Ho perso amici a causa del Covid: non perché siano morti, loro no, sono io la deceduta (e pertanto decaduta) sociale, quella che.. però dai, se l’è cercata... insomma colei che abita pensieri e discorsi di costoro nelle vesti di virgolette-novax-virgolette. Pertanto io sono stata prontamente depennata dai loro elenchi… zacchete! 

Tu mi farai notare, se li hai persi non erano un granché come amici. Probabile, dico io. Poi potresti aggiungere: li avrai perduti nel bel mezzo del delirio e del panico, le sparate dei talk show, i bollettini serali della Protezione Civile, ai tempi in cui l'Rt saliva e le bare di Bergamo sfilavano, tsunami di ricoveri, l’atroce e oscuro morire degli intubati, gli appelli salva-nonni/salva-Natale/salva-vacanze/salva-Spritz, i lockdown, gli isolamenti; li hai persi quando un ministro in persona esortava chi di dovere a procurare dolore fisico a coloro che, per recarsi in ufficio, erano costretti obtorto collo a farsi infilare i lunghi tamponi nelle narici ogni quarantotto ore.

No no, non senza sorpresa e amarezza, prendo atto che ancora oggi, a un lustro dall’avvio dello stato di emergenza, agli occhi di qualcuno io appaia un soggetto infrequentabile, una che, per dire, se ti sposi non inviti nemmeno alla bicchierata informale al circolo Arci.

Così stanno le cose: il lungo periodo pandemico con le nutrite schiere di solerti sostenitori dei green pass, normal o super, ha tracciato crudeli linee di confine tra le persone. Spaccature come profonde fenditure in un’antica roccia. Altro che “andrà tutto bene”. Altro che “restiamo umani”. Il distanziamento prosegue sine die e ancora oggi capto discorsi in cui quelli come me sono definiti subumani.

Anno dopo anno, e ne sono già passati cinque, mai-mai-mai mi è capitato, neanche per sbaglio nemmeno un bisbiglio, di udire da parte di amici o colleghi o parenti o conoscenti o personaggi pubblici o esponenti politici, mai da nessuna bocca è fuoriuscita un’espressione almeno, per così dire, di rammarico, per l'accaduto.

Porgere le proprie scuse, in pubblico o in privato, non sminuirebbe in alcun modo, peraltro, la convinzione personale circa la scelta di aderire alla campagna vaccinale; si tratterebbe tuttavia di riconoscere quanto sia stato a dir poco abominevole il trattamento riservato a chi, per svariati motivi - anche sanitari - non intese, a suo tempo, fare altrettanto: milioni di cittadini come me, persone comuni dalle vite piccole e ordinarie, invisibili eppure così sgradite e spregevoli per quella loro ostinata presa di posizione.

Dire semplicemente: scusami. Se ho contribuito alla tua sofferenza, se ho avallato, con la mia condotta, la politica di discriminazione nei tuoi confronti / Se ho ritenuto di essere migliore di te: più altruista e non contagioso / Se ho vissuto nella granitica convinzione d’essere detentore di una verità indiscutibile e di incarnare il Bene / Se guardandoti io pensavo (e ancora lo penso, scusami tanto) che tu, invece, fossi il Male in persona: appestata e vigliacca, egoista e pericolosa, da isolare, da punire, da deportare, da mettere al muro (perdonami se oltre a pensarlo, tutto questo l’ho anche dichiarato in tua presenza) / Scusami se non ho ritenuto indegno che tu venissi sospesa dal lavoro e per questo ti fosse sottratto l’intero tuo stipendio.

Già, e pensare che io ero tra coloro che nel 2020 si illudevano che il primo lockdown, con le chiusure, il silenzio e il vuoto metafisico delle nostre città, lo stop a tutto ciò che, improvvisamente, si spolpava, rivelandosi superfluo e vacuo, ecco io, inguaribile ingenua, credevo che tutto questo avrebbe potuto rappresentare un’opportunità. Un’occasione irripetibile, sì, per un profondo ripensamento circa il modello economico-sociale che plasma le nostre vite mediamente grame, sul turbocapitalismo neoliberista, sulla tecnocrazia, sui falsi bisogni, sulla crescente sorveglianza e sulle inarrestabili disuguaglianze, sulla nomofobia, sul valore del contatto umano, la poesia di un abbraccio, l’urgenza di un nuovo umanesimo. Eccetera eccetera eccetera. Bla bla bla. Insomma: eccetera e bla, in gran quantità.

Sono trascorsi cinque anni eppure della discriminazione più esecrabile che la storia della nostra Repubblica possa vantare, della palese negazione di diritti costituzionali, della mistificazione massiccia dei fatti, della vessazione e dell’ingiuria diffuse rivolte a una minoranza della popolazione, di tutto questo non si parla. Nessuno più ricorda o vuole ricordare. Assistiamo, invece, a gravi forme di amnesia e afasia collettive, ma non illudiamoci, nessuna simpatica rima ci aspetta: nessuna amnistia per i reietti, mai.

Gli infelici (inconsapevoli d’esser tali), ossia la stragrande maggioranza del popolo, sono lupi feroci e affamati di capretti espiatori: i capitoli drammatici della storia sono lì a dimostrarlo, ruotando spesso attorno a questa dinamica sociale, banale, efficace e così tanto funzionale al potere.

La stigmatizzazione sistematica dei capri espiatori è operazione imprescindibile, lubrifica gli ingranaggi. Ed è ormai palese come l’utilizzo degli sticker sortisca un perverso effetto calamita, così che, in men che non si dica, io diventi anche filoputiniana magari trumpiana e, perché no, pure terrapiattista. A nulla valgono eventuali spiegazioni e argomentazioni atte a confutare qualsiasi etichettatura menzognera e strumentale. La mancata adesione alla campagna vaccinale in epoca pandemica è la mia macchia indelebile: fino-alla-fine-dei-miei-giorni io incarnerò solo e sempre l’indispensabile bersaglio.
De hoc satis.

Io però non dimentico. E mai dimenticherò e fino a che avrò intatte le mie facoltà mentali, fiato in gola e uso delle mani, dirò e scriverò ciò che mi ha segnata, trauma sociale, cicatrice dell’anima, che ancora duole e sempre spurgherà.

La mattina, al risveglio, quel senso di oppressione alla gabbia toracica, costante stato d’ansia e di angoscia che potevo placare solo uscendo di casa e camminando, che d'altronde non potevo fare altro, altro non essendomi permesso. Aprire gli occhi su una realtà in cui lo Stato mi era nemico. O meglio: io ero una nemica dichiarata dello Stato, disallineata, disubbidiente, deviante. Bruttissima persona.

Da allora, credimi - tu che mi leggi in buona fede - io non so più che cosa significhi alzarsi dal letto di un umore che sia almeno decente, sorridere alla vita, avere fiducia nel prossimo, andare incontro al proprio giorno convinta di trovarmi, nonostante tutto, nel migliore dei mondi possibili. Da allora io mi convinco che, in assenza di un brusco risveglio di massa, si faccia sempre più concreto il rischio di scivolare assai rapidamente nella brutta copia del peggiore.

Mi sia concessa, infine, una velata soddisfazione all'idea, alla sola idea, di noi subumani tuttora presenti all'appello, nonostante l’asserzione, grave e greve, del Presidentissimo: "non ti vaccini, ti ammali, muori, o fai morire". Siamo milioni e milioni, e ancora milioni e ancora siamo. Siamo. Talvolta penso che il nostro stato in vita, anno dopo anno, rappresenti la migliore smentita alle menzogne e alle più inaudite istigazioni all'odio cieco che un Paese civile abbia mai intonato per voci e orchestra istituzionali.



[foto di Tapani Hellman da Pixabay]

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